La sincerità non paga. Nemmeno a San Remo
sabato, 01 marzo 2008
Giovedì sono stato a San Remo. Al Festival.
Vedere dal vivo la serata è sempre molto più emozionante che seguirla in televisione. La scenografia quest'anno è strepitosa, elegante, coinvolgente. Baudo e Chiambretti sono bravi, tranquilli, sempre sul pezzo e senza mai un attimo di esitazione. Sanno sempre perfettamente quello che devono fare, e Chiambretti sa far ridere .
Gli ascolti calano. Colpa di Baudo? Delle canzoni? Di cosa?
E' colpa della sincerità. Il festival quest'anno è quello che è: una manifestazione canora che ha fatto un po' il suo tempo e che, proprio perché sincera, non prevede litigi, scoop e pettegolezzi.
Grasso dice che il festival di quest'anno è brutto. Io dico che, semplicemente, che è quello che è. E questo non paga.
TEMPORIBUS ILLIS
Tempòribus ìllis. A quei tempi, una volta, molto tempo fa.
Sicuramente il tempo scorre, questo è scientificamente tangibile, ma ciò non impedisce ad un evento ripetuto di restare eterno nella sua bellezza.
San Remo non è solo una manifestazione canora, è anche parte della cultura d’Italia.
Personalmente non credo sia un problema di scenografie, né di presentatori, e nemmeno di comici, sono convinto piuttosto che il punto dolente sia proprio l’anima del Festival stesso. La musica.
Anzitutto, molti artisti dovrebbero dimenticare di idolatrare se stessi e ricordarsi di amare le parole e gli strumenti, quelli che realmente li identificano.
Esistono talenti ovunque, artisti sconosciuti, parolieri, musicisti, poeti, che non hanno la possibilità di essere presi in considerazione causa la mancanza di risorse finanziarie. Bisognerebbe allora andare a scoprirli e stanarli dall’indifferenza sociale prodotta da molte case discografiche, che tendono a promuovere e produrre musica in linea con l’avidità comportamentale della gente, sempre più abituata allo scandalo, alla perversione, alla spettacolarità della morte che sinceramente di spettacolare e poetico non ha davvero nulla. E questo disagio, questa sete di negativismo collettivo, si proietta pure nella canzone. Ecco il prodotto confezionato per l’esigente pubblico. Canzoni prive di parole, e le poche utilizzate gestite con scambio d’ordine senza creare nulla di originale. Canzoni spesso drammaticamente patetiche, come se il più nobile dei sentimenti, l’amore appunto, dovesse solo e perennemente procurare sofferenza. Canzoni dove l’impeto, la solarità dell’amore, non sono quasi mai evidenziati, narrati, cantati. Canzoni che stanno oramai da tempo stancando il pubblico, quello vero, costituito da persone semplici che cercano e vogliono cambiare la società costruita dalla televisione, che associata ai mass media generali, non parla più di valori, né di ideali, né di sogni, né di vita. E per concludere, la pubblicità, che si è impossessata di qualunque spazio, adombrando ciò che veramente la gente vuole.
Bisogna che i discografici si limitino a fare i discografici, che i cantanti cantino quello che davvero desiderassero cantare, e che i parolieri non si perdessero alla banalità, alla retorica, all’ostentazione del dramma.
La vita, sinonimo di amore, è soprattutto felicità.
Om mani padme hum. Salve o gioiello nel fiore di loto.
emisferodestro
Scritto da: emisferodestro | sabato, 01 marzo 2008 a 19:45