Prima di iniziare il post di oggi devo assolutamente fare una premessa: RTL 102.5 è stata la radio alla quale devo l'inizio di questa attività a livello nazionale. Quindi grazie a Lorenzo Suraci che anche quando all'inizo facevo schifo in onda ha voluto tenermi pensando però di affiancarmi al buonissimo Angelo Baiguini e a tutto il team della radio di allora, che mi ha insegnato molto e dal quale spero di avere imparato.
A Milano, sulla Darsena, proprio di fromte a casa mia, ho visto affisso il megaposter di 20 metri firmato Virgin Radio... ma da un po' di giorni è stato sostituito da quello di RTL 102.5 e la sua RADIOVISIONE.
E sulla Radiovisione vorrei fermarmi un attimo perché mi pare che ormai il senso della magia della radio e delle sue voci si vada perdendo. Il fascino di quando si immaginava tutto lascia il posto al mistero svelato a furia di Webcam negli studi, pagine sui giornali e, appunto, programmi televisivi.
Sono cambiati i tempi perché oggi più di ieri c'è la rincorsa all'immagine, a tutto ciò che si vede e molto poco a tutto ciò che si sente. Il cervello e il cuore non sanno più ascoltare, perché c'è l'immagine che sovrasta ogni altro senso.
La radio in televisione non è una novità, ma, come ho già avuto modo di scrivere, ritengo che la radio vista in tv sia una pessima televisione, come del resto la tv riportata in radio è spesso una pessima radio.
La radio in tv è come un ottimo romanzo trasformato in un un film. Chi l'ha letto non è mai soddisfatto della sua trasposizione cinematografica perché l'immaginario del lettore non può corrispondere alla realtà della pellicola.
Tutta la finzione radiofonica (gli effetti sonori, le voci, i rumori) nel momento in cui la si vede perde ogni suo mistero, come un prestigiatore che svela il suo trucco mentre si sta esibendo.
Nel film The Prestige uno degli illusionisti soffre perché nel momento dell'ovazione del pubblico resta nascosto sotto il palco, lasciando invece al suo sosia il compito di godere del successo. Anche la radio dovrebbe fare la stessa cosa: rinunciare a farsi vedere per ricominciare, finalmente, a farsi sentire.